Io, Federico e il suo mondo

Io, Federico e il suo mondo

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Oreste De Rosa 

Repubblica.it/salute

A metà degli anni '90, ero felicemente coinvolto nella costruzione della mia famiglia che oltre me e mia moglie, era costituita da due figli gemelli, un bambino ed una bambina, e dal piccolo Federico. Una famiglia con tre figli piccoli era molto impegnativa, a tratti faticosa, ma dava anche tanta gioia e faceva molto ben sperare per il futuro, in cui immaginavo i miei tre figli divenuti oramai adolescenti cominciare a sperimentare la vita insieme.

 

 

Questa gioia fu incrinata dal constatare che il piccolo Federico, che aveva due anni, cominciava a manifestare una evidente regressione nelle sue capacità di gestire le situazioni e le relazioni. Come tutte le famiglie che entrano nell'esperienza dell'autismo, cominciammo il nostro iter di preoccupazione, prima presso la pediatra, poi con osservazioni periodiche presso la ASL ed infine al reparto di Neuropsichiatria Infantile del Policlinico, dove Federico ebbe la diagnosi di Disturbo Generalizzato di Sviluppo, una delle diagnosi che si collocano all'interno dello spettro autistico.

Chi viene proiettato nella realtà dell'autismo, all'inizio non ha neanche il tempo di disperarsi perché mentre si cerca di realizzare ciò che sta accadendo si è lanciati in una giostra di analisi cliniche, di accertamenti medici, di pratiche burocratiche.

 

"Vivrai come noi"

Quando emersi da questa fase, sviluppai la mia strategia esistenziale di risposta al problema. Era come se io dicessi a mio figlio Federico: "non ti preoccupare, anche se sei nato diverso da noi, neurodiverso, ora con le terapie noi ti insegneremo a comportarti e vivere come noi". Io concepivo le terapie che mio figlio viveva sostanzialmente come un processo addestrativo alla normalità. Mio figlio Federico era per me come quegli italiani che, se imparano a parlare bene l'inglese, possono vivere e lavorare a Londra, "come se" fossero inglesi.

La mia strategia era addestralo con le terapie per farlo diventare "come se" fosse normale. Più io andavo avanti ragionando così e peggio le cose andavano perché Federico non si sentiva accettato nella sua diversità.

 

La crisi

Ai suoi quattordici anni, Federico ebbe una crisi di rabbia ed io dovetti intervenire per contenerlo ed evitare che si facesse male. Fu per me uno shock enorme. Avevo usato la mia forza contro la forza di mio figlio, anche se solo per contenerlo. Il problema dell'autismo non aveva soluzione per me ma in quel momento il mio dolore mi fece fare un salto su un altro piano. Portai Federico davanti al computer che era il nostro modo di comunicare e gli scrissi di getto: "Ho capito che tu non diventerai mai come me. Visto che io non voglio perderti, perché sei mio figlio, mi insegni a diventare come te?".

 

Io come lui

Avevo rovesciato la mia logica di addestramento. Ora ero io che volevo essere addestrato da Federico per diventare "come se" fossi autistico e stare insieme a lui nel suo mondo.

Federico fu molto contento della proposta e scrivendo (ancora oggi a trenta anni parla poco) comunicò: "Certo papà, io posso insegnarti".

Iniziò quindi un periodo molto bello. Io non potevo diventare autistico perché il mio cervello non funzionava in modalità autistica, ma Federico iniziò per me un percorso di addestramento al suo modo di vivere autistico.

 

Le passeggiate autistiche

La prima esperienza furono le passeggiate autistiche che voleva dire camminare per ore, spesso nei boschi, fianco a fianco senza mai dire una parola. All'inizio era l'angoscia per il silenzio forzato ma poi capii una cosa importantissima, ossia che non era vero che mio figlio Federico non comunicava, lui non comunicava in modo verbale a voce, ma poteva comunicare ed era bravissimo, con la comunicazione non verbale.

Scoprii quindi che tanti piccoli movimenti del corpo e del volto di Federico comunicavano in realtà tutte le emozioni e gli stati d'animo possibili per un essere umano e mi resi anche conto che anche il mio corpo stava facendo la stessa cosa. Ero entrato in modalità di comunicazione autistica non verbale.

 

Sempre nella stessa trattoria, allo stesso tavolo

Molte altre esperienze dell'autismo feci insieme a mio figlio e non posso raccontarle tutte altrimenti questo articolo diventerebbe un libro, ma cito solo le cene autistiche, ossia il farmi guidare da Federico ad andare sempre nella stessa trattoria, sedere sempre allo stesso tavolo, mangiare sempre le stesse cose e pagare sempre lo stesso conto. Dopo una fase di stranezza della cosa, cominciai a realizzare che nel mondo caotico in cui viviamo noi che siamo nelle grandi città, ripetere il già noto è veramente una pausa di relax.

 

"Diversamente felice"

Ai sedici anni di Federico, partì una nuova fase quando lui mi scrisse "Visto che sono diversamente abile allora mi toccherà essere diversamente felice".

Questa frase ebbe su di me un effetto dirompente e sanamente devastante. Nella nostra società, noi facciamo tante cose per le persone che portano dei limiti di autonomia come gli autistici, ma questo è come lucidare una cosa che poi rimane triste perché, come si sente dire spesso, "è autistico e non potrà mai essere felice". C'è una parte di verità in questa frase che rende la menzogna più efficace. La parte di verità è che mio figlio Federico che è autistico non può andare al centro commerciale quando è al massimo del caos, non può guidare una automobile, non sa (forse non sa ancora) viaggiare da solo. Ma se non può essere felice come noi auto proclamati normali, può essere felice secondo un percorso tutto suo. Può diventare Diversamente Felice. Il Diversamente Felice è stata la liberazione da una vita di condanna alla tristezza per l'autismo di un figlio.

 

La scrittura

Il resto è storia di oggi o quasi. Quando vidi che Federico scriveva così bene e cose così profonde, gli dissi che, secondo me, doveva scrivere un libro. Ricordo che lui rispose scrivendo "Papà, sarebbe meraviglioso". Tutto il mondo fu contro di noi perché il dogma era che gli autistici non verbali non possono scrivere libri.

Federico di libri ne ha scritti tre, ha venduto (all'ultimo dato disponibile) 14.280 copie, scrive su diverse testate, tra cui la più famosa è sicuramente Repubblica (Sezione Salute), gira l'Italia per diffondere il suo verbo del Diversamente Felici tra studenti, insegnanti e famiglie che vivono l'autismo.

 

La legge Dopo di Noi

Per concludere, direi che avere un figlio autistico, aiutarlo a crescere fino a trenta anni, è stata sicuramente per me una esperienza dura ed i problemi sono stati tanti.

Ma ora che lui, grazie alla Legge del Dopo di Noi, inizia a sperimentare la sua vita autonoma con altri ragazzi particolari come lui, ora che io sono prossimo alla pensione che ci darà tanto più tempo per fare cose belle e spero utili insieme, credo di poter dire una cosa forte: sono felice di avere un figlio autistico.

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