Luisa Urbani
ilmessaggero.it
Le nozze rischiavano di saltare per la mole di visite mediche che i due ragazzi avrebbero dovuto affrontare prima del grande giorno. «Tutti hanno il diritto di sposarsi. L’autismo non deve essere un ostacolo, nemmeno all’amore», ripetono Alberto e Giorgia, una coppia di trentenni con disturbi dello spettro autistico che gestisce una edicola alla Cecchignola. Molto credenti, un anno fa hanno deciso di celebrare il loro matrimonio in chiesa, ma «è stato l’inizio di una vera e propria odissea», raccontano.
Una vicenda lunga e complessa, in cui è coinvolto anche il Vicariato di Roma, durata circa un anno e fatta di innumerevoli problemi che ha turbato la coppia «non poco». Quello dell’autismo, spesso, è un tema che incontra «pregiudizi e limitazioni, come la nostra storia dimostra», dicono.
Un colpo di fulmine la prima volta che i loro sguardi si sono incrociati.
Un amore così grande che ha spinto lei, originaria di Riccione, a trasferirsi in poco tempo a Roma da lui. Prima la convivenza, dopo il lavoro insieme in edicola, poi la decisione di suggellare la loro relazione. «Quando abbiamo espresso al nostro parroco la volontà di sposarci in chiesa sono iniziati i problemi perché lui ha comunicato la nostra situazione al Vicariato di Roma». È stato l’inizio della fine. «Non lo giudichiamo – dicono – per questo perché sappiamo che lui era tenuto a farlo, ma è assurdo tutto quello che è successo dopo».
Per far sì che il loro matrimonio potesse essere considerato valido il parroco gli ha spiegato che dovevano seguire un «percorso speciale, oltre a quello prematrimoniale che fanno tutti». Un percorso fatto di visite mediche specialistiche per poter dimostrare di essere capaci di intendere e di volere. «Una assurdità per un’infinità di motivi», spiegano i due. «C’è un problema di ignoranza nei confronti del nostro disturbo. Per la chiesa, l’autismo è una malattia psichiatrica a prescindere dal livello di autismo che uno ha. Temono che tutti gli autistici non possano comprendere il significato di quello che fanno, non è corretto. È assurdo pensarla così perché noi per lo Stato non siamo interdetti, infatti abbiamo un lavoro e abbiamo la patente. Impensabile – lamenta Giorgia – che per la chiesa che deve essere un luogo inclusivo, non sia così. Ci siamo sentiti discriminati ed esclusi. Quasi una umiliazione che vanifica tutti gli sforzi che abbiamo fatto negli anni per essere come gli altri».
Oltre al problema emotivo, anche quello meramente pratico. «Ci è stato chiesto di fare una serie di visite mediche tutte a spese nostre e solo in determinati centri convenzionati. A Roma è molto difficile prenotare visite di questo tipo perché le strutture sono piene e i tempi di attesa lunghi», denuncia Giorgia aggiungendo che, tra l’altro, «si trattava di documenti che già avevamo». Un investimento di denaro e di tempo che avrebbe fatto slittare la data del matrimonio. Il rischio di vedere il loro sogno svanire, con tutte le conseguenze psicologiche del caso, la preoccupazione per il futuro e lo sconforto sempre maggiore. Finché non è intervenuto «un sacerdote estremamente intelligente e comprensivo che ci ha evitato un’enorme umiliazione che avrebbe vanificato anni e anni di terapia». Il sacerdote in questione è don Luigi D’Errico, responsabile del servizio della pastorale delle persone con disabilità, che ha incontrato i ragazzi per valutare la loro condizione e capire se fossero consapevoli di quello che stavano facendo.
Un compito non semplice dato che «Alberto e Giorgia se non la prima coppia in assoluto, sono sicuramente tra le prime coppie autistiche che chiedono di sposarsi in chiesa nella Diocesi di Roma», spiega don D’Errico. I tre si sono incontrati e il sacerdote ha fatto alla coppia una serie di domande per comprendere se erano consapevoli del gesto che stavano per compiere. «Mi sono sembrati coscienti e consapevoli. A mio avviso non avevano nessun problema che potesse impedir loro di sposarsi», dice. Un incontro fondamentale per consentire ai due di realizzare il loro sogno perché, come spiega Nicoletta Anselmi, avvocato del Tribunale della Rota Romana, «dal punto di vista del diritto canonico il matrimonio è un sacramento che deve essere assunto validamente e che è basato sul consenso». Da qui la necessità di valutare le capacità della coppia.
«La cosa spiacevole - ribadiscono i futuri sposi - è quella di essere stati giudicati a prescindere. Avevamo già le nostre certificazioni e soprattutto abbiamo più volte ribadito che ci sono vari livelli di gravità di autismo. Alla fine - concludono - è andato tutto bene e il Vicariato si è dimostrato disponibile. Speriamo che la nostra vicenda faccia da apripista a chi vorrà sposarsi in chiesa». Una storia a lieto fine che culminerà con la realizzazione del loro sogno il 22 giugno, quando, davanti all’altare si giureranno amore eterno.