Editoriale - 2 aprile, non basta il blu

Editoriale - 2 aprile, non basta il blu

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Alberto Zuliani

Le Nazioni unite hanno indicato il 2 aprile come giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo. Nelle capitali e nelle città più importanti di molti paesi i monumenti principali vengono illuminati di blu per una giornata. Da qualche anno avviene anche in Italia.
Per l’occasione, noi di Breccia abbiamo festeggiato le bambine e i bambini che abbiamo in cura sabato 6 aprile nel Parco delle mimose, vicino alla nostra sede romana. È stata una grande festa musicale con una partecipazione intensa. Ne potete trovare un racconto nel contributo “La nostra festa: una festa di tutti, per tutti”.
Se il punto fosse soltanto la consapevolezza, si deve riconoscere che parecchia strada è stata fatta negli ultimi dieci anni. Nei giorni precedenti e successivi al 2aprile sono aumentate, via via, le occasioni di dibattito sui quotidiani, alla radio e in televisione; l’autismo è oggi molto più noto e più accettato; è stata prodotta parecchia normativa statale e regionale. Però, gli adempimenti, i finanziamenti, le realizzazioni sono stati molto lenti. Le regioni hanno fatto spesso resistenza a motivo di ristrettezze di bilancio; i livelli essenziali delle prestazioni specifici per l’autismo non sono stati configurati nitidamente; non è stato affrontato con decisione il tema del trattamento dopo i diciotto anni. Ad alcune carenze è stata data risposta sempre più frequentemente in sede giurisdizionale: i giudici ordinari hanno accolto le istanze delle famiglie per il diritto alla salute e quindi al trattamento precoce ed efficace dei loro bimbi con autismo; si tratta però di casi isolati. Il Consiglio di Stato ha ribadito il diritto a un trattamento adeguato, anche se con un passaggio sulla sostenibilità economica da parte delle regioni.
C’è ancora parecchio da fare. L’offerta è molto variabile sul territorio, in quantità e qualità. Il Mezzogiorno è svantaggiato, come - d’altronde - per quasi tutti gli aspetti della salute. In generale, è difficile trovare presìdi autorevoli di trattamento se non si risiede nelle grandi città. Per i bimbi - e anche per gli adolescenti, i giovani adulti egli adulti che necessitino di un sostegno importante - gli interventi, quando sussistano, sono frammentari. L’Associazione si prende cura principalmente di bambine e bambini e viviamo spesso esperienze deludenti, benché operiamo in due grandi città. Nonostante le evidenze scientifiche, si continua talvolta a offrire trattamenti non efficaci; il Servizio sanitario nazionale vigila limitatamente sulla qualità di quelli erogati in strutture private. La diagnosi precoce è essenziale. Negli Stati uniti si interviene con grande successo su bimbi sotto l’anno di età che presentino qualche sintomo sospetto. Da noi gran parte dei pediatri di libera scelta non è preparata a fare diagnosi così anticipate. I presìdi attrezzati per farle sono pochi e hanno file di attesa lunghe. D’altronde, per avviare un percorso di riconoscimento e accedere a possibili sostegni da parte del servizio sanitario nazionale e del sistema di assistenza, è importante una diagnosi espressa da una struttura abilitata. Per la nostra esperienza, i bambini che ci vengono portati per il trattamento con meno di 18 mesi di età sono rarissimi; la maggior parte ha più di tre anni e in alcuni casi – non pochi – più di cinque. Gli insegnanti di sostegno non sono in generale preparati a fronteggiare i problemi che può porre un bimbo nella condizione autistica; abbiamo una normativa sull’inclusione scolastica avanzata, male prassi sono molto lontane e talvolta agli antipodi delle previsioni. Per gli insegnanti accademici, avere nella classe bambini “problematici” come i nostri è ritenuto un ostacolo allo svolgimento dei programmi e su questo, purtroppo, ancora troppe famiglie di bambini a sviluppo tipico concordano. L’accettazione della diversità è più facile al supermercato; già meno al parco giochi. L’assistenza domiciliare erogata dagli enti locali, tipicamente dai comuni, è sporadica; gli operatori mancano in generale di una preparazione specifica. Infine, i tre interventi -sanitario, scolastico, assistenziale - dialogano raramente; meno che mai collaborano fra loro, come sarebbe necessario per massimizzare i risultati in presenza di risorse comunque scarse. Tarda a maturare la consapevolezza, nelle istituzioni e in generale nel Paese, che il problema dell’autismo è un grande problema sociale. La prevalenza è stimata almeno all’1% e forse è una sottostima. Vuol dire che ogni anno si aggiungono ai preesistenti più di 4.000 bimbi con sindrome dello spettro autistico. Questa condizione li accompagnerà per l’intera vita. Per poter dare ad essa una qualità accettabile e possibilmente buona sono essenziali una diagnosi precoce e un trattamento immediato e adeguato. Si tratta di un intervento professionale, intensivo e prolungato, con costi insostenibili per la quasi totalità delle famiglie. I trattamenti in solidarietà che riusciamo a offrire noi e altri come noi sono una goccia nel mare.

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