Gaia Garofalo
Ilmediterraneo24.it
La terra, le mani e la casa, solo tre elementi per disvelare la storia d'amore che è il progetto di vita dell'associazione "DunAdenzia". Si tratta delle famiglie di alcuni giovani adulti nello spettro autistico che di recente hanno deciso di mettersi insieme per supportare i loro familiari in un percorso socio-lavorativo nel territorio bagherese. Hanno scelto l'antica parola delle nostre nonne che in lingua siciliana dicevano "dunadenzia" per dire "dai ascolto" o "prenditi cura".
Persona e natura si legano già nel logo di un verde germoglio che nasce da due mani aperte quasi a volerne sottolineare la stretta connessione. Perché, ed è questa la novità, prendersi cura dell'ambiente mettendo le mani nella terra, con l'agricoltura biologica, imparando a seguirne i ritmi. Questo significa crescere in stima e consapevolezza di sé. In una società che impone una costante performance, alla compulsiva ricerca di emozioni da divorare, le famiglie di "DunAdenzia" hanno deciso di accordare i loro passi a quelli dei loro familiari e di farlo nell'unico modo che l'amore conosce: l'ascolto.
"Da tre anni i nostri ragazzi dai 25 ai 33 anni – spiega il presidente Franco Schillaci – stanno imparando ad acquisire delle competenze nell'orticoltura con l'Associazione Coltivare Bio Naturale. Se da un lato l'esperienza del fare li aiuta ad acquisire le competenze pratiche e professionali, dall'altra aumenta il desiderio di stare con gli altri, di relazionarsi". Hanno imparato così a seminare, piantare, innaffiare e raccogliere in una quotidianità di cui si ha bisogno in modo da seguire processi standardizzati a seconda delle stagioni.
"Il dopo di noi – dice il presidente – è una delle motivazioni che ci ha spinto a costituire l'associazione perché vogliamo che i nostri ragazzi possano avere un lavoro, che possano vivere in autonomia". Che non va veloce ma è la loro. I familiari di "DunAdenzia" hanno già capito che il futuro va costruito un passo alla volta, oggi. "I ragazzi stanno già seguendo, da qualche anno, seguiti da un'equipe di operatori, un progetto di autonomia all'interno di una struttura abitativa dove hanno imparato- spiega il presidente Schillaci– cose che sembrano apparentemente facili come ad esempio fare la spesa, prendersi cura della casa, cucinare".
E qui il racconto si fa personale. "Un'esperienza – aggiunge Franco – che ha giovato anche a mia figlia, 30 anni, che prima di allora viveva in un modo tutto suo. E adesso invece interagisce con gli altri, fa domande. È curiosa del mondo che la circonda". Si fanno visite nei laboratori in cui vengono preparate conserve o nei frantoi e nei vivai, s'impara a confezionare e ad etichettare i prodotti "in modo che – continua Franco determinato– acquisendo competenze, possano creare un profilo professionale che li aiuti nel loro inserimento lavorativo".
Franco ed i suoi compagni di viaggio hanno costruito rete di relazioni con altre associazioni del privato sociale, del no profit che fanno dell'inclusione e dell'integrazione, la loro mission. "Abbiamo imparato che da soli non si va da nessuna parte – dice a chiare lettere – e che la comunità, le imprese possano e devono fare la loro parte. Oggi, più che nel passato, ci sono le condizioni perché i nostri ragazzi non siano tagliati fuori dalla società ma diventino parte integrante di essa. Guardo con attenzione ed interesse a realtà come quelle di Pizzaut, a Monza, aperta di recente e mi dico: se l'hanno fatto loro, possiamo farlo anche noi".