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Il ragazzo, 15enne di origine vietnamita, è autistico "non verbale" di media gravità. Daniela Centanni è sua madre adottiva: "La discriminazione nasce dall'ignoranza e dalla paura della diversità". "Parlando di autismo, molti credono si tratti di una malattia, e quindi la guardano, quando va bene, con compassione. In realtà. non è una malattia bensì un diverso 'modo di essere', un funzionamento del cervello differente da quello 'normotipico' della maggioranza delle persone".
"Non è raro – continua Daniela - che la persona autistica abbia un quoziente intellettivo molto alto unito a un vero talento nelle arti o nelle scienze, diversi 'geni' del passato sono considerati autistici. Questa fascia però, che un tempo si definiva 'ad alto funzionamento', comprende circa il 20% del cosiddetto 'spettro autistico'. Un altro 80% soffre invece in forma più o meno grave di altri disturbi associati, in particolare ritardo mentale o cognitivo, depressione, disturbi dell'apprendimento, deficit di attenzione. Sono questi problemi sommati che rendono la condizione invalidante".
In quale 'categoria' si pone suo figlio Alex?
"In una fascia intermedia: ha un medio ritardo mentale ed è parzialmente 'non verbale', ossia ha una forte difficoltà a esprimersi a parole. E dal punto di vista della sofferenza psicologica – che può sfociare in vere e proprie psicosi, dalla depressione alla schizofrenia – penso che questa sia la condizione peggiore, perché Alex, a differenza di quando era piccolo, man mano che cresce matura una maggiore consapevolezza riguardo a sé e agli altri, iniziando a realizzare di essere diverso dai suoi coetanei e anche da noi, e lo sforzo di adattamento e di comunicazione è fonte di un costante stato di frustrazione che a volte lo ha portato a importanti crisi di rabbia".
Mi racconti di lui…
"Io e mio marito Lorenzo avevamo fatto tutta la procedura per l'adozione. Nell'ottobre 2008 fummo informati dell'abbinamento con un bimbo vietnamita di 9 mesi. Era previsto che saremmo andati a prenderlo in gennaio, ma il 23 dicembre fummo avvisati che dovevamo invece partire subito. Tutto si svolse in modo estremamente rapido: il 25 dicembre Alex ci fu consegnato insieme ai documenti. Solo nelle ore successive capimmo il motivo di tanta fretta: nell'orfanotrofio che lo ospitava otto bambini erano già morti di broncopolmonite e anche il nostro piccolo era malato, oltre ad aver sofferto pesanti conseguenze per essere stato abbandonato alla nascita dopo un parto molto prematuro e per aver passato i primi tre mesi in ospedale e i successivi sei in due diversi istituti, dove gli operatori si limitavano probabilmente a nutrirlo (poco) e cambiarlo. Nei diversi trasferimenti, oltretutto, la sua cartella clinica era andata persa. Nelle settimane successive lo facemmo curare nella locale clinica francese e riuscimmo a salvarlo non so neppure io come. Alex a nove mesi aveva lo sviluppo di un bimbo di cinque, pesava sei chili e a stento si reggeva seduto. Tornati a casa, ci impegnammo a fondo per il suo recupero, e a 23 mesi era perfettamente nella media dei bambini della sua età".
Aveva dato qualche segno di autismo?
"No, anzi era piuttosto sveglio: a meno di due anni pronunciava una settantina di parole, si muoveva e camminava e si relazionava con noi in modo del tutto normale".
Una diagnosi precoce che riscontri i disturbi dello spettro autistico fin da piccoli può favorire un miglioramento sensibile nel loro trattamento e nel proseguimento della vita.
Quando sono cambiate le cose?
"In poche ore. La sera ho messo a letto Alex che non stava tanto bene (aveva appena fatto il richiamo della trivalente) e la mattina dopo ho trovato un bambino diverso: non solo non pronunciava più che la parola 'mamma', ma sembrava inconsapevole della mia presenza e ripeteva ossessivamente il gesto di sfregare le manine tra loro, stereotipia che non ha più perso. Il giorno stesso l'ho portato dalla pediatra, che ha fatto cadere con gran rumore una bottiglia di plastica senza che Alex mostrasse la minima reazione. Il sospetto che si trattasse di autismo fu immediato, perché la pediatra di base era preparata in materia. Purtroppo non sempre è così, e una diagnosi tardiva complica ulteriormente le cose".
A quel punto cosa avete fatto?
"Ci siamo subito mossi per accertare la presenza di un disturbo dello spettro autistico, appoggiandoci al servizio di neuropsichiatria infantile dell'azienda ospedaliera San Paolo. Abbiamo dovuto aspettare qualche mese in lista d'attesa prima di riuscire a fare ad Alex i test diagnostici standardizzati, e quello è stato in assoluto il periodo più brutto, quando ancora non avevamo una diagnosi ma solo sospetti e bastava la parola 'autismo' a mandarci nel panico. Poi col tempo siamo 'venuti a patti' con quella 'sentenza', cercando di ridimensionarla, informandoci e approfondendo la questione. Io ho lasciato il lavoro e dedicata anima e corpo ad assistere mio figlio. Ho avuto questa 'libertà', se così si può definire, perché ho la fortuna di avere un marito che con il suo stipendio può mantenere la famiglia, certo non nel lusso ma in maniera dignitosa. Tanti altri genitori di bambini autistici e disabili non possono permetterselo".
Non c'è un aiuto economico da parte dello Stato?
"Solo al di sotto di una fascia Isee piuttosto bassa".
Ma ci sono istituti specializzati che si occupano dei bambini?
"Anche qui nella ricca ed evoluta Milano sono pochi, con liste d'attesa infinite. In teoria alcuni centri rieducativi dovrebbero seguire gli utenti fino a 18 anni, ma per favorire un minimo turnover in genere i bambini vengono 'dimessi' a 10 o 11 anni. E a quel punto restano i centri socioeducativi (Cse) o i centri diurni per disabili (Cdd): alcuni sono pubblici, ma la maggior parte privati con posti in convenzione. Un Cse privato non convenzionato costa circa 45 euro al giorno, escluso l'eventuale trasporto. E non tutti comunque sono ammessi, i ragazzi devono essere valutati per capire se la loro condizione è compatibile con gli altri ragazzi utenti del servizio e con il rapporto operatore-utenti, spesso 1:6 o 1:7".
E degli insegnanti di sostegno cosa può dirmi? Qual è stata la vostra esperienza?
"Un buon insegnante di sostegno, unito alla competenza psicopedagogica dei docenti della classe, può davvero fare la differenza. La collaborazione dà ottimi frutti. L'abitudine per esempio di far uscire il bambino disabile dalla classe (perché 'disturba' o si pensa non sia in grado di imparare) ha effetti negativi sia sull'apprendimento che sulle capacità relazionali e di adattamento e anche sulle possibilità di integrazione tra compagni. Molto dipende poi dalla motivazione e soprattutto dalla formazione dell'insegnante. Alex alle elementari se n'è visto assegnare uno diverso ogni anno e questo non è un bene per un bambino autistico, che come noto soffre terribilmente qualsiasi cambiamento. Oltretutto avere la stessa persona di riferimento, soprattutto se è valida e preparata, è un grande vantaggio per la possibilità di evoluzione del ragazzo e anche dell'adulto, perché non è vero, come molti credono, che superata l'età infantile si riduca o addirittura si annulli la possibilità di migliorare e progredire sulla strada dell'autonomia. L'insegnante che lo segue da due anni gli sta facendo fare grandi passi avanti".
Come genitore di un ragazzo disabile cosa chiederesti alle istituzioni?
"Un supporto più forte e costante, non solo dal punto di vista economico, ma attraverso una 'presa in carico' delle persone più vulnerabili. Innanzitutto si dovrebbe agire sulla formazione: degli insegnanti (in particolare quelli di sostegno) sulle diverse condizioni e malattie di cui devono occuparsi; degli assistenti sociali, persone spesso splendide ma oberate da carichi di lavoro impossibili; dei medici e pediatri di base, prima linea fondamentale per una diagnosi tempestiva. E anche delle famiglie: non tutte hanno gli strumenti e il tempo per 'farsi una cultura' da soli. Poi sono importanti la costante collaborazione e il confronto tra istituzioni e famiglie. Noi per esempio abbiamo adottato un diario su cui l'insegnante di sostegno e l'operatore del Cse fanno ogni giorno annotazioni sullo stato psicologico e sul comportamento di Alex".
Quale dovrebbe essere l'obiettivo?
"Supportare i ragazzi in un percorso di autonomia. La principale preoccupazione di noi genitori è per il 'dopo di noi': chi si occuperà dei nostri figli? Che oltretutto, nel caso degli autistici, hanno un'aspettativa di vita del tutto comparabile a noi 'normotipici'".
Quali sono le caratteristiche comportamentali di Alex?
"Ha difficoltà soprattutto nella sfera comunicativa: gli manca la capacità che noi 'normotipici' abbiamo di 'interpretare' i messaggi verbali e non verbali dell'interlocutore. Per lui tutto è letterale, non si possono usare modi di dire, allegorie o paradossi, ironia e battute. Se dici 'gli è costato un occhio della testa' lui pensa davvero che la persona in questione abbia perso un occhio. Inoltre non sa mentire e non ha filtri 'sociali', e questo nei rapporti quotidiani può essere un grosso problema. In questo caso è una fortuna che Alex sia poco 'verbale', perché se per esempio considerasse brutta una persona lo direbbe a voce alta, come fanno i bambini molto piccoli o le persone affette da sindrome di Tourette. In passato non sopportava alcuni stimoli sensoriali, come luce o rumori forti. Abbiamo fatto per anni un lungo lavoro di 'desensibilizzazione' per ridurre le reazioni comportamentali esagerate a quegli stimoli, e oggi Alex riesce a tollerare bene ambienti affollati o molto illuminati. Come molti altri ragazzi autistici, Alex ha una forte tendenza ai rituali e un estremo bisogno di sicurezze e stabilità. Ha difficoltà nella regolazione delle emozioni, alterazioni nell'attenzione e nella mimica facciale. Soffre poi del mancato sviluppo di relazioni con i coetanei, in quanto non è in grado di ricercare attivamente il contatto con altri ragazzi. Ciò viene erroneamente interpretato come disinteresse, però in realtà Alex semplicemente non sa come fare. Lui ama la compagnia , ma la difficoltà nel comprendere le emozioni o il punto di vista dell'altro sono tali da ostacolare i rapporti empatici e la possibilità di sviluppare relazioni di amicizia".
Alex usa pochissime parole verbali, ma non ha problemi con la comunicazione scritta
La comunicazione in famiglia come avviene?
"Per fortuna pur parlando molto poco Alex capisce tutto e non ha problemi con la parola scritta. Ho preso quindi l'abitudine di scrivere il programma quotidiano su un 'calendario' appeso alla porta d'ingresso. Ciò lo tranquillizza da un lato, ma lo rende meno flessibile dall'altro, così qualsiasi piccolo scostamento diventa molto difficile da fargli accettare. Se per esempio gli dico che andremo in farmacia e al supermercato poi non posso cambiare l'ordine dei fattori. Né se si fa tardi posso indurlo a rinunciare alla visita dalla nonna promessa".
Avete in casa tre animali: come si rapporta Alex con loro?
"Tende a ignorare i due gatti. Da poco più di un anno abbiamo preso la cagnolina Tabù, molto simpatica e affettuosa. Voglio raccontare un episodio che mi ha commosso. Alex guardava come ogni pomeriggio la tv e come sempre strofinava tra le mani una cannuccia. A un certo punto la cannuccia è caduta e Tabù, pensando a un gioco, si è precipitata a prenderla in bocca. Io li osservavo non vista e ho temuto una reazione aggressiva. Invece Alex ha ripreso la cannuccia e ha fatto un'affettuosa carezza alla cagnolina. Un gesto davvero straordinario per lui".
C'è stato qualche momento in cui lei e Lorenzo avete pensato di non potercela fare?
"Un periodo molto difficile è stato l'estate scorsa: Alex era in piena crisi per una serie di cambiamenti avvenuti nella sua vita nel giro di poco tempo. Era agitato in maniera parossistica, notte e giorno gridava e saltava e correva e a momenti era anche aggressivo. Siamo tornati a Milano in anticipo e abbiamo infine accettato l'idea di dare ad Alex un farmaco calmante, peraltro a dosi bassissime. Il fatto è che Alex è un adolescente e quindi ai suoi problemi di base si aggiungono la tempesta ormonale e il trauma dei cambiamenti fisici, già di per sé molto destabilizzanti per qualsiasi ragazzo di quell'età. Tutto ciò gli fa sentire più acuta la solitudine della sua 'diversità'. Alex non può andare in gita né partecipare ad altre attività extrascolastiche, non ha amici. Ecco, in questo senso sarebbe importante sensibilizzare nelle scuole tutti i bambini, spiegare con parole semplici cosa prova un coetaneo autistico, insegnare a non disprezzarlo, temerlo o giudicarlo, ma ad accogliere la sua diversità cercando comunque di costruire con lui una relazione. La discriminazione nasce dall'ignoranza (nel senso etimologico del termine) e dalla paura della diversità. Senza un confronto con le famiglie dei disabili e uno sforzo concreto di diffusione delle buone pratiche e di educazione, informazione e formazione nei confronti di bambini e adulti, i discorsi sull'inclusione resteranno belle parole pronunciate una volta l'anno e disperse nel vento dell'indifferenza".